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30.07.15
Il modello Argentina: un capitalismo alternativo alle politiche neoliberali?
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Tra gennaio e aprile 2015 ho avuto l’opportunità di effettuare un soggiorno scientifico all’Università di Buenos Aires (dove dal 1998 insegno saltuariamente), ma mai come questa volta sono rimasto colpito nel trovare un’Argentina diversa dalle rappresentazioni della grande stampa europea e nordamericana, i cui analisti politici o economici non esitano a riferire di un paese sull’orlo del fallimento, retto dal “populismo” trasformato in un luogo di clientelismo, corruzione e protezionismo e dove addirittura la libertà di stampa e di espressione sarebbero minacciate (ridicolo!)[1].  Purtroppo l’immagine dell’Argentina in Europa è sovente filtrata da commenti tendenziosi (e a volte semplicemente falsi) di questa natura.  Mi chiedo perché nessun grande organo di stampa (liberale) menziona che nell’ultimo decennio l’Argentina dopo il default , a cui fece seguito la tremenda crisi e la miseria dei primi anni 2000, ha drasticamente ridotto la povertà, arrestato l’incremento del divario tra opulenza e indigenza e effettivamente aumentato il benessere dei suoi cittadini, in particolare dei meno abbienti.  E’ forse pericoloso affermare che oggi è lo Stato dove meglio si vive in America Latina (le statistiche internazionali lo dicono) un paese molto attrattivo per tanti abitanti delle città dei paesi limitrofi, come la Bolivia e il Paraguay o anche del Perù e della Colombia? 

Ecco alcune cifre. Nel 2012 secondo la CEPAL[2] – l’indice di povertà (o di popolazione indigente) dell’Argentina era il più basso dell’America Latina (5.7 %, si può ricordare che nel 2002, all’apice della crisi, giunse al 54%). Secondo la Banca Mondiale tra il 2003 e il 2009 l’Argentina ha raddoppiato i suoi cittadini di “classe media” (passati da 9.3 a 18.6 milioni, su una popolazione di 40 milioni di abitanti).  Questo si è tradotto in un benessere diffuso e visibile negli spazi pubblici urbani, al punto che mi è sembrato che ci siano nuove auto ovunque (quasi troppe per la capacità delle strade di Buenos Aires) anche nei quartieri più popolari.

L’Argentina di oggi è un paese molto attrattivo e la sua Costituzione garantisce l’immigrazione: basta avere un’occupazione o un progetto imprenditoriale (e non avere problemi con la giustizia). Il sistema sanitario pubblico (il migliore d’America Latina, secondo l’ONU, anche se non mancano esclusive cliniche di punta private) è gratuito e di qualità. Pure la scuola pubblica e l’università (oggi di nuovo tra le migliori nella Regione) sono accessibili a tutti gratuitamente.  Da alcuni anni il paese ha conosciuto uno forte sviluppo in vari settori: è il più importante produttore di software della Regione, la sua industria cinematografica funziona, i PC e gli smartphones meno cari sul mercato non sono cinesi o coreani, ma fabbricati in Patagonia o in altre regioni industriali del paese. Chi viaggia sulla rete metropolitana del Gran Buenos Aires o nel Subte (la metropolitana) utilizza sempre più nuovi treni, comodi, con aria condizionata e sistemi di sicurezza che non hanno nulla da invidiare ai nostri. Con una differenza: l’Argentina ha per ora rinunciato all’alta velocità e sta investendo nella ricostruzione e nello sviluppo della rete metropolitana, certo con maggior enfasi nella Provincia di Buenos Aires, dove si concentra quasi il 40% della popolazione.

Nel frattempo la Capitale (la Città Autonoma di Buenos Aires) si è “rifatta i parchi”, rendendoli più belli e attraenti e mettendo servizi a disposizione di tutti (come l’esercizio fisico mattutino per le persone anziane, o macchine ginniche facili da usare per tutti) però anche più severe restrizioni d’accesso, con recinzioni e orari e regolamentando i venditori ambulanti (misure che hanno suscitato l’approvazione della classe media ma polemiche e malcontento tra i giovani, grandi utilizzatori di questi spazi). La politica della Città rispetto agli spazi pubblici sembra però aver avuto quale principale risultato, nei quartieri toccati, il sensibile incremento del valore della rendita fondiaria, con conseguenti processi di speculazione immobiliare e di gentrificazione urbana[3].  Certo a Buenos Aires (come a Cordoba o Rosario) c’è anche criminalità organizzata e disagio giovanile, c’è corruzione e c’è (sempre) ingiustizia sociale, narcotraffico, dipendenza, quartieri violenti e informali, stupri e altri soprusi ; il traffico è asfissiante, gli spostamenti difficili. Sono tutte cose, oltre alla speculazione immobiliare, che troviamo purtroppo anche in ogni altra società metropolitana contemporanea.  Eppure, contrariamente all’Europa, rispetto a 10 anni or sono il tenore di vita dei meno abbienti e della classe media è sensibilmente aumentato.

In che modo si è arrivati a un tale cambiamento?  Molto, credo, fu dovuto all’ascesa di Néstor Kirchner (deceduto nel 2010), che annullò la legge di impunità e impulsò i processi contro il terrorismo di stato e i responsabili dell’ultima dittatura militare, ri-nazionalizzò il sistema pensionistico e che, a partire dal 2004, ristrutturò il debito e rimborsò l’FMI.  Non tutto fu risolto, ma forse, la storia lo dirà, il merito più grande fu quello di Cristina, sua moglie, che fu eletta presidente la prima volta nel 2007 e rieletta al primo turno nel 2011. Nonostante i continui attacchi da parte dei due più grandi gruppi editoriali nazionali (Clarin e La Nación), Cristina e il suo governo sono riusciti a realizzare politiche inclusive, come l’allocazione universale per figlio, il “matrimonio per tutti”, l’aumento e l’indicizzazione delle pensioni (anche per chi era senza contributi, come i lavoratori dell’economia informale), il re-investimento massiccio nella scuola pubblica e nell’università (le cui risorse furono drasticamente tagliate dalle politiche neoliberali degli anni ’90), aumentando tra l’altro i salari dei docenti e mettendo mezzi a disposizione (come, nell’ambito del programma Contectar igualdad, la distribuzione di una netbook  ad ogni allievo di scuola media con risorse didattiche e scientifiche on-line in continuo aggiornamento), senza dimenticare, più di recente, le politiche specifiche per risanare la situazione e integrare le popolazioni sfavorite delle villas e degli insediamenti informali nelle grandi città (che, come Buenos Aires o Cordoba, furono incapaci di assumere). Non si può neppure dimenticare che nello stesso tempo si procedette al recupero e alla ri-nazionalizzazione del sistema ferroviario, della compagnia aerea di bandiera e di YPF, la società petrolifera nazionale, tramite l’acquisto sul mercato di oltre il 50% delle azioni. Si implementò anche una nuova politica di sostituzione delle importazioni (come nella prima parte del XX secolo) che permise di iniziare a ricostruire il sistema industriale, certo, in buona parte con capitali europei, nordamericani e asiatici, ma obbligando in qualche modo le multinazionali a fabbricare (o perlomeno ad assemblare) i loro prodotti all’interno del paese. 

Queste politiche radicali (che per alcuni commentatori sono soltanto “populismo”) non furono sempre attuate in modo ordinato e comprensibile, tra gli altri dai giovani ministri dell’economia dei mandati di Cristina, anzi quasi sempre in modo caotico da Martín Lousteau (che si dimise a seguito del fallimento della prima legge sulle ritenzioni mobili e che ora è all’opposizione con una propria forza politica) e da Axel Kicillof attuale titolare del ministero.  Si poterono però realizzare nuove misure fiscali, imponendo maggiormente le esportazioni (in particolare di materie prime agricole come soia, cereali e carne) e le proprietà immobiliari ad un più giusto valore, aumentando i dazi doganali all’importazione o punendo con multe salate le frodi sull’IVA, tutto ciò portò la pressione tributaria al 36-37% del PIL (nel 2012-13), la più elevata del continente e comparabile a quella di molti paesi europei (fonte: La Nación).  Questo permise di mantenere prezzi relativamente bassi  al consumo, ridistribuendo parte dell’introito fiscale sovvenzionando i beni di prima necessità, tra cui il gas, la farina e la carne, ma anche il cinema e … il football (le partite del campionato, dopo un duro confronto con Clarin che ne aveva il monopolio audiovisivo, sono ora trasmesse anche dalla televisione pubblica)[4].  Infine, per evitare la fuga di capitali a seguito della maggiore pressione fiscale, nel 2011 fu introdotto un rigido controllo dei cambi che suscitò un mercato parallelo del dollaro, valuta che tuttora non può essere facilmente convertita dai cittadini presso le loro banche (con la moltiplicazione delle complicazioni burocratiche) e comprensibilmente aumentò il malcontento tra i risparmiatori.  Oltre a questo, il prezzo delle politiche attuate fu una serie di conflitti (alcuni sicuramente evitabili) tra il governo di Cristina (e tra lei stessa) e i rappresentanti del mondo agricolo, le lobby dell’agro-business internazionale e soprattutto come già accennato con i grandi gruppi di stampa che rappresentano o supportano politicamente l’opposizione, raggruppata attorno alla figura del sindaco uscente di Buenos Aires, Mauricio Macri. Quest’ultimo, a sua volta, prospetta (senza dirlo ad alta voce) di ri-privatizzare tutto o quasi, qualora in ottobre venisse eletto alla presidenza. Non sarà facile, poiché se la presidente non può più ripresentarsi, a difendere i valori del Frente para la victoria vi sarà Daniel Scioli, governatore uscente della provincia di Buenos Aires , già vicepresidente all’epoca di Néstor Kirchner.   Per una volta la scelta richiesta agli elettori è molto chiara: continuare e approfondire questo pur imperfetto “Modello Argentina” o decretare la “fine del ciclo” e tornare al neoliberalismo più o meno sfrenato?

Nonostante i fondi speculativi americani[5], chiamati ormai da tutti fondi avvoltoi – contestino la ristrutturazione del debito con una causa giudiziale senza fine presso la Corte suprema di New York, l’Argentina sta dimostrando una nuova capacità di attirare capitali sul mercato internazionale (alla sorpresa di molti detrattori che da anni prevedono una nuova bancarotta).  Oggi tutti possono vedere che le nuove politiche hanno permesso di ridistribuire più ricchezza ai cittadini (in particolare ai settori più vulnerabili della società) e forse di andare oltre la semplice ricostruzione del sistema industriale, prima fortemente indebolito dalla dittatura e poi praticamente annientato dagli effetti delle politiche neoliberali dell’epoca di Menem.  Infine, non si può dire che sia stato previsto, ma di fatto la forte inflazione che ha caratterizzato questi anni (circa il 25% annuo) ha avuto un effetto paradossale incrementando i consumi e quindi la produzione industriale e i servizi (come il turismo) e sostenendo così la domanda di lavoro da parte delle imprese e la crescita economica, in un contesto macroregionale di crisi e recessione (come nel vicino Brasile).

L’Argentina dopo essere stata un esempio del fallimento delle politiche neoliberali imposte dal FMI (che ancora piacciono tanto ai dirigenti europei) sta mostrando  – pur con tutti i suoi limiti e nelle specificità di un territorio con immense risorse – che esiste oggi la possibilità di un modello di accumulazione capitalista alternativo al neoliberismo, sicuramente migliorabile ma nettamente più in sintonia con la democrazia e la giustizia sociale, in grado di mettere un freno al potere e ai soprusi delle società multinazionali. Forse è per questo che la grande stampa europea e nordamericana oggi non parla molto bene (o non parla affatto) dell’Argentina.

Gian Paolo Torricelli
(30 luglio 2015)



[1] Si vedano tra molti altri, il quotidiano Le Monde (segnatamente gli articoli di Paulo A. Paranagua) o il sito italiano d’informazione sull’America Latina pangeanews.net.

[2] Commissione economica per l’America Latina, organismo dell’ONU con sede a Città del Messico.

[3] Cambiamento della base sociale del quartiere o dell’isolato: famiglie povere o con reddito modesto costrette a cercare alloggio meno caro altrove rimpiazzate spesso da giovani di classe media con buoni introiti che possono quindi pagare mutui o affitti più cari. Questi processi avvengono (o sono avvenuti) non soltanto nei quartieri tradizionalmente agiati come La Recoleta, San Telmo o Palermo, ma più di recente hanno soprattutto toccato i barrios popolari come nel caso di  Parque Patricios o La Boca.

 

[4] Questo non vale ancora per altri prodotti di largo consumo come la yerba mate, il vino o la birra i cui prezzi sono in costante crescita nei supermercati.

[5] Cfr. Coadiuvati da Elliott Management di Paul Singer che ha creato una potente lobby anti-Argentina, legata al partito repubblicano, la American Task Force Argentina (ATFA), come riferisce il quotidiano di Buenos Aires Pagina 12 nella sua edizione del 30.07.2015.

 

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